domenica 27 febbraio 2011

La metamorfosi

Hyaenidae: comunemente chiamata iena. Mammifero dell'ordine dei carinvori di media grandezza. Le iene sono le principali divoratrici, insieme agli sciacalli e gli avvoltoi, dei cadaveri dei grandi animali abbattuti dai predatori.


L'aria densa puzzava dei vostri cadaveri. Camminavo come si cammina quando si attraversa un fiume, in cerca di spazi vuoti tra le vostre membra senza sangue, colorate di grigio. Ero agile e quattro zampe mi davano più stabilità. Il mio corpo esile si intrufolava ovunque. Riconoscevo tutti visi. La putrefazione non li aveva cambiati molto.
A giudicare dai vostri corpi alcuni di voi erano morti prima, quelli che erano rimasti vivi avevano mangiato i cadaveri. Crudi. Immaginavo la scena: padri che mangiavano i corpi dei figli. Piangendo la loro morte. Giustificando il loro atto. Guardavo quella distesa di persone senza vita e il cielo stava diventando dello stesso colore della terra scura. Scorsi la schiena nuda di uno di loro. La riconobbi. Era l'unico corpo nudo e quella pelle bianca mi sembrava di conoscerla da sempre. Mi avvicinai, i capelli gli cadevano sulla nuca morta. 
Era lui. Con il muso cercai di girarlo e quando vidi il suo viso iniziai a graffiarlo con tutta la forza che avevo, usando tutte e due le zampe e ringhiando ferocemente. Cercavo di togliergli quel ghigno dalla faccia. Forse era stata l'ultima smorfia prima di morire, perchè gli era rimasta così nonostante fosse stato a lungo con il viso sulla terra ruvida. Gli tolsi quell'epressione dalla faccia. A morsi. Ma non mangiavo la sua carne.
Poco tempo prima quello che vedevo era completamente diverso. Tutto scorreva più lentamente e voi ridevate, ridevate fino a vomitare. Vi abbracciavate fino a scoppiare l'uno nelle braccia dell'altra, fino a farvi uscire le budella dal naso e dalle orecchie. Fin quando gli occhi non schizzavano via dalle orbite. Prima voi non eravate inermi sulla terra gelida; mi ricordo gli uomini che ansimavano in cerca di orgasmi, che guardavano i corpi femminili accompagnando il desiderio alle loro fantasie. Le donne che da giovani porgevano i loro bacini e le loro cosce bagnate e desiderose. Crescendo poi si sforzavano di recuperare il pudore che non avevano mai avuto e si vestivano con gonne di cotone a fiori rosa che non lasciavano vedere nemmeno le ginocchia.
Vi guardavo tutti morti e vi immaginavo nel pieno della vostra vita. Vi guardavo tutti morti, sghignazzavo perchè avevo annusato la putrefazione dei cadaveri. Facevano schifo persino a me. Iniziavo a sentire il vento sulle orecchie, correvo. 
Un altro ghigno. Ritornavo al branco. Ero lontana.
Ero viva.

sabato 5 febbraio 2011

"Le parole non colgono il significato segreto delle cose"

D'un tratto il mio viso si distende, lasciando cadere una lacrima. Gli occhi ne erano gonfi ma la mia bravura nel mentire a me stessa superava ogni emotività. Anche le parole non sono più aghi, nè pezzi di legno che cadono al suolo lasciando un tonfo sordo nell'aria. Sembrano quasi un fiume, sembra che il tempo si sia fermato facendo spazio e silenzio intorno ai pensieri e illuminando quello che rimane sul fondo della rete dopo che ogni granello superfluo sia passato attraverso le sue maglie. Eccoti, mio adorato, eri lì e non ti avevo visto.
Eri lì, sotto la polvere di quello che rimane dopo un lungo cammino. Con le tua mani delicate e gli occhi piccoli e verdi, seduto con la testa tra le mani ad aspettare solo che mi girassi a guardarti. Osservavi la mia stanchezza, l'avevi già vista, conoscevi ogni espressione, ogni capello fuori posto, ogni parola o punteggiatura. Nulla per te è nuovo. Nulla insano. In questo pomeriggio invernale ogni pensiero si ferma stanco di tirare la corda che gli sega il collo -come un lupo rabbioso che brama la carne-. Cambia espressione, non mostra i canini e abbassa le orecchie, si stende sulle foglie nere del bosco notturno e dorme con la luna. Le mie labbra si distendono e i muscoli del viso si contraggono, gli zigomi si alzano chiudendo gli occhi. Alzo lo sguardo, intorno a me solo tracce del tuo passaggio. I plettri consumati e i fogli ingialliti dalla stanchezza e dal tabacco. Pacchi di sigarette Praghesi che mai avremo il coraggio di buttar via e poi una foto in bianco e nero. Niente è cambiato, guardaci. Siamo nella nostra città, te la ricordi? Non dirmi che l'hai dimenticata perchè non ti credo.
Sento l'odore addosso.Odore di quelle notti insonni a far consumare sigarette tra le dita, a guardare l'orologio dell'albergo che scandiva un ritmo più lento di quello a cui siamo abituati. La vodka caduta sulla moquette, il mio avvicinare l'orecchio alle tue labbra per sentire se respiravi. E adesso anche i miei ritmi cambiano, il battito si sincornizza con l'orologio dell'albergo, i miei pensieri somigliano al vento dell'Est, negli occhi i colori dei tulipani.
Le parole non colgono il significato segreto delle cose, mio dolce compagno. 
Teniamo per noi ciò che nulla potrebbe cogliere.

Tua, per sempre. rò.

Dove sei?

Apro gli occhi ma non ci sento bene. 
Un suono mi trapana la testa, sottile come un ago. Porto la mano sul viso che sento dolorante. Deglutisco. Sento il sapore del sangue. Ma che cazzo mi è successo, non ricordo niente. Sono stesa a terra e il mio viso tocca il pavimento freddo. Dove sono? Aiutatemi.
Cerco di parlare ma non riesco a muovere la lingua, non ci vedo bene. Chiudo gli occhi. Il cuore batte lento, non riesco a muovermi e inizio a sentire freddo davvero, intorno a me non c'è nulla. Dove sono? Aiutatemi.
 
Apro gli occhi, ma non ci vedo bene. Un suono mi avvolge la testa, come qualcosa che preme sulle orecchie e sui timpani. Porto la mano davanti agli occhi per capire se riesco a vederla. Deglutisco. Sento il sapore dell'acqua. Come ci sono arrivata qui? Aiutatemi. Non respiro più. Alzo lo sguardo verso la superficie inizio a muovermi per risalire. Mi agito, spalanco gli occhi, inizio a muovere le braccia come se volessi arrampicarmi al liquido. Non ci riesco. Vedo la superficie ferma. Inizio a muovermi più velocemente, inizio ad avere paura.
Adesso urlo. Che cazzo urlo. Ma ci provo. Non mi sento. Non mi sentono. Il cuore batte forte, sempre più forte. Il ritmo diventa accelerato, sento la testa scoppiare.
Non respiro ancora, si ferma tutto in gola, vorrei respirare. Non ce la faccio. Ci vedo sempre meno, mi muovo sempre meno. Il corpo si indebolisce.
Inizia il mio viaggio verso il fondo.
 
Sempre più scura diventa l'acqua intorno a me, sempre più fredda. Sento il corpo debole.
 
Tum. 

Tocco il fondo.
 
Sono stesa a terra e il mio viso tocca il pavimento freddo. 
Dove sono? Aiutatemi.

martedì 1 febbraio 2011

Chi sei tu?

Non si è mai ciò che si dice di essere. Qualcuno parlava di maschere, io penso che il problema sia di natura comunicativa. Non si può spiegare il concetto perchè già esprimerlo signfica svuotarlo di significato. Immagino poi cosa succederebbe se sprecassi  parole. Non si è mai ciò che si dice di essere. Giustamente. E' un problema di natura linguistica, prima che ontologico-esistenziale. Godere dell'ineffabile e semplice,  vuotare di congetture ciò che non originato permane nel mutamento, per non dare conto a Kronos che divora i figli di Rea. Per non dare conto alla sua linearità che dovrebbe essere di nuovo curvata. 
La Moira ci tiene costretti così, quanto siamo miseri.