venerdì 19 settembre 2014

Earth shaped box

Prima di ogni altra cosa. Io ero Oceano. Ed insieme ero tutto ciò che vi nasconde nel suo utero. Ero acqua, ero terra, ero fuoco ed ero aria. Avevo in me la purezza di chi non ha la forma, la bellezza di chi sa essere l'unico specchio degno del cielo, l'anima di chi nasconde solo vita dentro sè.

Prima di ogni altra cosa. Io ero l'acqua. Profonda nera e misteriosa, che ti avvolge e ti trascina. Che stringe senza fare male. Che lascia liberi quando ci si lascia trascinare. Avevo in me i contorni astratti di chi non ha contorni e avrei potuto assumerli tutti, oppure nessuno. Avevo la libertà di chi non deve scegliere e avvolgevo la terra, l'abbracciavo e l'amavo. Mia unica figlia, mia unica madre, mia unica donna.

Prima di ogni altra cosa. Io ero terra. Forte sostenevo il peso dell'universo e imparai a danzare con il sole, a portare frutto. Ero terra gravida d'ogni frutto. Avevo in me la ricchezza di chi ha tutto. Avevo il dono magico delle donne - di regalare la vita.

Prima di ogni altra cosa. Io ero aria. Bellissima e leggera danzavo. M'insinuavo nelle rughe della pietra e tra le piume degli uccelli. La mia ricchezza era l'insostenibile leggerezza del mio essere. E del mio non essere. E ogni cosa che avrei voluto essere.

Prima di ogni altra cosa. Io ero fuoco. E protendevo le mie lingue verso l'alto. Sinuoso affascinavo l'universo intero. Avevo la ricchezza di chi, unicamente regala luce.

Ma prima di ogni altra cosa. Io ero tutto insieme. Non una cosa o l'altra, non una cosa e l'altra. Ma tutto insieme. Ero la potenza. Potenza di poter essere non essendo nient'altro che acqua. Ordine del mondo, silenzio cosmico, primitiva pace ed eterno e pacifico infinito.

lunedì 16 giugno 2014

Favole dell'eterno ritorno

Nel suo bel campo stava un bel fiore.  La faccia sempre rivolta al suo amato, il sole. Magnifico e fiero si nutriva dalla terra in cui affondava le sue radici e mai in tutta la sua vita aveva smesso di ammirare quella stupenda palla fuoco in cielo. Mai nessuna nuvola, mai nessun animale del cielo e della terra per quanto bello fosse, era riuscito a rubare il suo cuore. Lui apparteneva alla luce del sole, al suo calore, alla sua bellezza sconcertante.

Nel suo immenso e magnifico cielo stava il sole. Portatore di vita sulla terra. Tutte le creature del cielo e della terra erano innamorate di lui. Ogni serpente, ogni uccello, ogni insetto, ogni pianta. Tutto ciò che esiste e vive a lui dedicava i versi d’amore. Il gallo al mattino lo cantava, il serpente al pomeriggio se ne nutriva, gli uccelli al mattino volavano per lui come a fargli di sipario, le cicale mai si stancavano di cantarne la bellezza.

All’alba il girasole apriva i suoi petali e donava il petto al suo amato. Ma al tramonto, quando la luna era alta nel cielo e il sole stava per andarsene, lui diventava triste. I petali si chiudevano, la sua testa si abbassava. Sembrava quasi rannicchiarsi su se stesso dalla tristezza. Un’altra notte umida e fredda lo attendeva e il solo pensiero lo spaventava. 
Mio amato, ritornerai? 
Dove sei andato a finire? 
Mi hai lasciato qui tutto solo per un’altra notte. 
Ho paura che qualcuno possa strapparmi dalla terra, ho paura che qualcosa possa uccidermi. 
E se dovesse grandinare? 
Probabilmente non resisterei.
 Vorrei che tu non andassi mai via, senza di te non avrei vita. Mio amato, ritornerai?”.  
Il girasole disperato pensò che ormai non ci sarebbe stata più nessuna speranza e che il sole non sarebbe mai tornato.

Ma dopo la notte arriva sempre  l’alba. E i raggi del sole tornano a solleticare il girasole che aveva avuto paura del buio e aveva temuto che mai più avrebbe rivisto la luce. 
“Tornerò tutte le mattine. 
Ho solo fatto un giro…non ti ho lasciato da solo. 
Bisogna attraversare la notte per desiderare il giorno, bisogna provare il freddo per distinguerlo dal calore. 
Durante la notte potrebbe piovere, ma la pioggia non ti farà male. Ogni mattina tornerò, tu non temere.”


a Debora.
E non solo da parte mia.

sabato 3 maggio 2014

Penelope nelle sue stanze

aveva imparato il silenzio con cui tesseva trame d'attesa. Della sua bellezza tutta Itaca sentiva l'odore quando all'alba tinta di rosa lo scirocco s'insinuava nel suo letto attraverso le tende bianche e poi tornava fuori. Morbidi e profumati i capelli le cadevano sulle spalle bianche le quali facevano da base perfetta per il suo collo che tutti gli uomini avevano immaginato inarcarsi nudo di piacere, ma invano. Morbidi e profumati i capelli le contornavano il viso che descriveva dolci curve sotto le orecchie, tra il naso e gli occhi e all'angolo delle labbra che ogni uomo greco aveva immaginato durante il solitario sesso, ma invano. Le sue gambe si intravedevano grazie alla veste che diventava di colpo trasparente quando lei affacciandosi alla finestra scrutava l'orizzonte in attesa del suo uomo. Con movimenti decisi e con inaspettata forza muoveva il telaio e qualche volta piangeva. La quotidianità le donava sicurezza, la sua casa, il suo mare le davano tranquillità, per nessun motivo al mondo se ne sarebbe allontanata. La tana, come un utero materno, era tutto quello di cui aveva bisogno e nonostante nelle fantasie degli uomini lei apparisse come un corpo umido e tremante di piacere, in realtà nel silenzio della sua camera si raggomitolava in posizione fetale. Nonostante tutti la immaginassero urlare di piacere, cercava la pace che solo il silenzio poteva darle. Le sembrava che da quando aveva smesso di parlare ogni pensiero avesse trovato il suo posto nel disordine della sua mente e questo aveva trasformato la sua attesa più piacevole e meno tormentata. Mentre le sirene cantavano per possedere Ulisse, lei tesseva in silenzio per non farsi male. Tutti bussavano alla porta di Penelope, tranne il suo amato. E l'attesa durava da così tanto tempo che nemmeno possiamo immaginarlo. Quando riusciva a rimanere sola le piaceva immaginare il momento in cui lui sarebbe tornato, lei si sarebbe svegliata e all'orizzonte avrebbe visto la nave tornare a vele spiegate, sospinta dal vento che aveva portato a lui l'odore della sua bellezza. Avrebbe sorriso e solo a lui avrebbe ricominciato a parlare. E la sua voce, sebbene più debole del canto ammaliatore delle sirene avrebbe innamorato di nuovo Ulisse il quale sapeva bene che la donna più bella della Grecia gli sarebbe rimasta fedele per sempre.

domenica 27 aprile 2014

La lentezza della domenica mattina

Sebbene la mia vita sia stata sempre lenta, noto che ogni domenica prima di mezzogiorno il tempo si 
f e r m a i d u c e n d o m i a d a c c a s c i a r m i a c c a n t o a l u i.
punto.
Domenica mattina, il sole non splende sul cielo della mia città.

Rigrazio tutte le persone che stanno passando di qua, con la promessa di dedicare più tempo a questo spazio.

Torno lentamente al mio caffè.
Torno.

mercoledì 1 maggio 2013

La disintegrazione della persistenza della memoria.

(A Werner Karl Heisemberg)


Se tu smettessi di far casino, riuscirei anche a parlare.

Una voce nella mia testa ripete incessante "è tutto falso". 
Una voce nella mia testa ripete "è tutto". 
Una voce nella mia testa "è".

Il mondo che state creando è tutto falso, il mondo creato non v'appartiene e non siete capaci di guardarlo. Il mondo dentro non è quello vero, l'avete creato voi e non siete in grando di gestirlo. Le divinità che andate cercando vi hanno voltato le spalle, ma voi non potete vederle, tutto nell'universo ha un significato diverso ma voi non potete sapere. Peccatori e tracotanti andate cercando la perfezione, peccatori anche solo con la mente andate in cerca di redenzione. 

Una voce nella mia testa.
Una voce nella mia.
Una voce nella.

Gli orologi molli del tempo interno, ciò che è destinato ad avere sempre e per sempre durata soggettiva, mai una fine, densità relativa. La psiche umana come un serpente s'intreccia su se stessa e vi seduce come satana con Adamo. Vi guarda e vi sfida. E voi, sempre accettate. L'iconografia surrealista vi eccita a tal punto da riuscire a pensare da Orientale, da abbracciare religioni che non v'appartengono. "Perchè l'essere e non piuttosto il nulla?" urlavano i folli nelle camere dell'ospedale psichiatrico. 

Una voce. 
Una.

« Nell’ ambito della realtà le cui connessioni sono formulate dalla teoria quantistica, le leggi naturali non conducono quindi ad una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l’accadere (all’ interno delle frequenze determinate per mezzo delle connessioni) è piuttosto rimesso al gioco del caso »



E il tempo girò su se stesso. Dio ricominciò ad esistere.

giovedì 16 agosto 2012

Ed invece.


Ho un dolore che non ti immagini, che blocca il respiro e annulla. C'è una resa nel mio cuore a ciò che mi uccide vergognosa. C'è poco che mi solleva, nulla. Il perchè non riesco mai a capirlo, ma è come se fosse lo stesso dolore da quando sono piccolo. Non ce la faccio più così, mi sento male.

Mi chiamo col mio nome, ho ventitrè anni. Li ho passati tutti a cercare una direzione, che non ho mai saputo quale fosse, fino a questo momento. Nessuno mi aveva detto che prima o poi sarebbe arrivato ed invece. 
Nodo alla gola, stomaco chiuso, sorrido meno. Qualcosa da qualche mese, m'appesantisce il respiro e il pensiero; l'anima mia si piega su se stessa, come se raggomitolarsi in quel modo la facesse scomparire per un pò. Ho un odore che è sempre lo stesso da quando sono piccola, ho provato mille volte a cambiarlo e quando me ne hanno dato la reale possibilità non ho voluto farlo più. La crescita è desiderare il cambiamento decisivo in ogni istante della propria esistenza fino al momento del rifiuto dello stesso. Anzi, la crescita è quel rifiuto. Mi getto in questo fiume come i cadaveri nel Gange, a peso morto lascio che il mio corpo venga trascinato, metto tutta me stessa nel divenire, tra uno stato di cose e l'altro, tra i paradossi della morte. Riempio spazi vuoti sulla superficie dell'acqua, come una mosca in pasto ai pesci.
Mio nonno mi regalò una giacca quando ero piccola, mi disse: "quando ti andrà bene, allora sarai grande e andrai via di qua"; nonostante abbia passato tutto il tempo ad aspettare il momento in cui dalle maniche sarebbero uscite le mie mani, in realtà non desideravo nient'altro che una giacca eternamente troppo grande.

sabato 11 febbraio 2012

la prima alba dell'Est

Cari lettori,
ho scomodato vecchi personaggi, di vecchie storie. L'ho fatto per non dimenticare, per tenere uniti i pezzi di un puzzle che credevo fossero andati persi. Qualcuno il realtà li ha accuratamente raccolti, mentre io impazzivo e buttavo tutto a terra, qualcuno ha raccolto quello che io avevo intenzione di perdere.
A te, amico mio. Fratello d'anima, e di occhi. 


Vincent alloggia nella camera 906, al nono piano. Sembra conoscerla da una vita quella città, eppure è solo un mese che abita lì. Gli piace spegnere le luci, affacciarsi alla finestra e farsi illuminare dai lampioni che punteggiano le strade. Quella luce arancione è di compagnia quando la vodka sta per finire. 
Silenzio in camera, sente la testa leggera ma non abbastanza da poter smettere di pensare. Sono le 3 del mattino e a Praga il sole sorge freddo: deve farsi strada lentamente tra le nuvole e i primi raggi, simili alle dita di una mano lunga e sottile fanno capolino tra le nuvole quasi come se con dolcezza volessero spostare quel grigiore. Ma ancora c’è tempo prima dell’alba e lui non ha sonno. Prende la sua felpa, esce dalla camera e si avvia verso l’ascensore.

Schiaccia il pulsante di chiamata.
Din don.
E’ già arrivato.
A quest’ora nessuno lo usa.
Entra e lo avvolge una luce biancastra.
Sente un rumore ovattato (è il rumore di tutti gli ascensori o è colpa della vodka?)
Appoggia le spalle allo specchio. -Quanto ci vuole per arrivare alla Hall?-
Silenzio.
Din don. Si apre la porta.
E’ nella Hall.

Si avvia verso l’uscita attraversando quell’enorme salone vuoto e silenzioso e quando si trova a cinquanta centimetri dalla porta principale, questa si apre e lui viene investito da uno sbuffo di aria fredda. Gli viene da ridere pensando che se ci fosse stata lei gli avrebbe sicuramente detto di coprirsi con la sua aria materna… e gli avrebbe anche dato la sua sciarpa tutta colorata. L’avrebbe tolta per dargliela e lui l’avrebbe indossata senza esitare un solo istante, perché così avrebbe respirato il suo profumo alla vaniglia.

Intanto è fuori e la porta si è chiusa alle sue spalle. Vaga per qualche minuto in cerca di un bar aperto per comprare un’altra bottiglia della peggiore Vodka in commercio nella Repubblica Ceca. Il suo albergo dista poco da un bar dimenticato da Dio. E’ strano perché c’è sempre pochissima gente e all’interno l’odore di tabacco si mischia con quello dei vari caffè serviti a poche corone. Ci sono dei tavoli di legno scheggiati e resi vecchi dalle incisioni di chi è passato da lì, i camerieri portano addosso un velo di rabbia e malinconia e una tv in un angolo remoto di tanto in tanto ha bisogno di incassare dei colpi per ricevere meglio il segnale. Ma è tremendamente bello il panorama che riesci a contemplare dalle vetrate: Ponte Carlo che unisce le sponde del fiume danzante, al di là del ponte si intravedono le  guglie nere del Palazzo Imperiale che si elevano come fiamme al cielo tra giochi di luce, non ci sono macchine a quest’ora e il rumore dell’acqua fa da padrone nel sublime scenario. 

L’est è freddo e malinconico. Ma ti rimane dentro. Un campanello suona appena lui apre la porta del locale e una donna anziana che spazza le briciole e i mozziconi di sigaretta buttati sul pavimento si gira verso di lui con aria seccata 

"Ma ha visto che ora è? Stiamo chiudendo!"
"Cercavo della vodka, una qualsiasi…"
"Ne dovremmo avere, ma la bottiglia non è piena"

Si avvia verso il bancone, si abbassa e prende una bottiglia. La porge a Vincent
"La prenda e se ne vada che è tardi e io vorrei tornare a casa!…su, via!"
Lui cerca delle corone in tasca per pagare ma lei lo ferma 
"Ha capito cosa ho detto? Vada…! Tanto ce n’è poca lì dentro e chissà da quanto non ne serviamo di quella roba…"
Vincent la fissa mentre lei lentamente torna ai suoi doveri. Poi si avvia all’uscita, tira la porta e il campanello suona di nuovo ‘Buonanotte!’ esclama. E dal fondo del locale arriva una grigia e piuttosto sforzata risposta ‘a lei!’.

Uscendo nota sotto l’insegna qualcuno che dorme con la testa appoggiata su un borsone, è difficile vedere il volto quanto capire se si tratta di un maschio o una femmina. Pensa che chiunque esso sia, di certo è arrivato a Praga da poco e di certo ha già visto il panorama migliore della città. Steso a terra con la faccia rivolta verso il ponte. 
Mette il cappuccio e torna verso l’albergo.